Europa e Italia alle prese con le politiche del mercato digitale
Fiscalità internazionale e commercio online sono le prerogative del neo parlamento europeo. E l’Italia cosa fa?
Negli ultimi anni, il mercato digitale è stato interessato da numerosi emendamenti, in vigore e in via di approvazione, che meritano l’attenzione di tutti gli attori coinvolti nel commercio digitale. Il neo parlamento europeo è pronto a rivedere i temi rimasti in sospeso dal parlamento uscente in favore della tutela del consumatore e a supporto delle società impegnate nel commercio online.
Una politica digitale con vecchi e nuovi provvedimenti
Il Parlamento Europeo è intervenuto più volte in merito al commercio digitale affrontando tematiche volte alla creazione di un unico grande mercato europeo in cui tutti gli attori coinvolti – proprietari, venditori e consumatori – possano essere tutelati e tassati nella giusta maniera.
I canali del digital market sono oggetto di uno studio continuo da parte dell’UE e non è difficile capirne il perché.
Questi canali rappresentano una grande fonte di guadagno per ogni singola nazione, ma sono anche strumenti potenzialmente pericolosi nel quale vengono inseriti dati personali e che, se svincolati da sistemi di protezione efficienti, possono mettere a repentaglio la sicurezza dell’utente.
Le strategie europee degli ultimi anni hanno contribuito all’attivazione di diversi provvedimenti: dal regime informatico MOSS, dedicato ai B2C, al superamento dello geoblocking; soglie di fatturato per gestire le operazioni digitali e la previsione di una misura fiscale per tassare anche i colossi del web.
Dunque, per proteggere il proprio business meglio conoscere tutto ciò che l’UE impone per commercializzare con l’estero.
Mini One Stop Shop: conosciamo il MOSS
Il Moss, introdotto il 1° gennaio 2015, è un sistema informatico previsto per i soggetti passivi che prestano servizi digitali verso consumatori privati domiciliati o residenti in paesi europei.
Si tratta di un sistema la cui registrazione è facoltativa e che consente di accedere al regime fiscale comunitario o al regime fuori UE.
Il soggetto passivo che intende registrarsi al regime UE deve farlo attraverso il MOSS dello Stato membro in cui risiede la sede economica della società. Il soggetto passivo che, invece, intende registrarsi al regime fuori UE deve far valere quale Stato membro di identificazione il luogo in cui ha una stabile organizzazione.
Geoblocking: cos’è?
Andrus Ansip, vicepresidente in carica dal 2014 della Commissione Europea per il mercato unico digitale, ha affermato che nel 2015 il 63% delle piattaforme digitali non consentiva l’acquisto di prodotti online a consumatori residenti in paesi diversi dal luogo di residenza del venditore, anche se stabiliti in paesi comunitari.
Cosa c’era dietro questo blocco? Il geoblocking. Un metodo che consentiva l’acquisto di prodotti online solo attraverso il collegamento a siti registrati nello stesso luogo di appartenenza dell’acquirente.
Finalmente il 3 dicembre 2018 il geoblocking è stato eliminato e sostituito con un regolamento che cancella ogni tipo di discriminazione legata alla nazionalità.
Quali vantaggi per il commercio online? Aumento delle vendite perché consentite da ogni dove, maggiore sicurezza nelle operazioni di acquisto e di pagamento e possibilità per tutti di acquistare beni e/o prodotti attingendo da un unico mercato europeo digitale.
Web tax 2019
La Commissione Europea tenta già da tempo di applicare un nuovo sistema di tassazione per le operazioni digitali attraverso la web tax. Una tassa che con un’aliquota del 3% colpirebbe i colossi del web che superano una data soglia di ricavo.
Mentre l’Europa attende di ricevere parere favorevole da tutti gli altri Stati membri per procedere all’approvazione della web tax, in Italia bisognerà aspettare solo qualche mese.
Consapevole dei ricavi che la nazione potrebbe trarne, lo Stato italiano ha scelto, infatti, di introdurre questa nuova tassa digitale con la Legge di Bilancio 2019. Un’imposta pensata anche a scapito dei grandi colossi del web i quali, attualmente, versano meno tasse di quanto dovrebbero al fisco italiano.
Google, Facebook, Amazon, ma anche tutte le società coinvolte nella pubblicità mirata online, nell’acquisizione dei dati e nella commercializzazione digitale saranno costrette a tassare i ricavi provenienti da queste operazioni con un’aliquota del 3%.
La web tax colpisce solo le aziende che registrano ricavi globali per un importo pari o superiore a 750 milioni di euro e società digitali con ricavi pari o superiori a 5,5 miliardi di euro.
Identificazione fiscale necessaria
Una delle norme più importanti attuate dal parlamento europeo uscente in materia di commercio digitale riguarda l’identificazione fiscale delle società coinvolte nella commercializzazione online.
Una società europea che vende beni in un’altra nazione comunitaria attraverso una piattaforma digitale deve identificarsi fiscalmente o nominare un rappresentante fiscale nel luogo interessato se il suo fatturato supera la soglia nazionale stabilita.
In Italia basta fatturare 35.000 € per superare la soglia nazionale stabilita e ricorrere, dunque, alla nomina o all’identificazione fiscale.
Politica digitale e fiscalità internazionale
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