Reverse Charge Iva, contenere il Vat Gap nelle vendite online
Il reverse charge è una vera e propria inversione contabile.
Solitamente in una transazione il fornitore applica l’aliquota in fattura addebitando il pagamento al cliente, contribuendo poi successivamente la somma allo Stato. Lo scopo del reverse charge iva è ridurre frodi fiscali e contenere il Vat gap, cioè la differenza tra l’imposta che dovrebbe essere riscossa e quella che effettivamente è riscossa.
Vi sono casi in cui il soggetto estero, avente rappresentante fiscale in Italia o essendosi identificato, entri in possesso dell’iva e non la versi. Ecco perché entra il gioco il regime reverse charge, in cui a pagare l’iva è il cliente, non il fornitore. Dunque, il cessionario del servizio emette un’autofattura da registrare sia nel registro iva delle fatture emesse, sia in quello degli acquisti.
Self billing e Reverse Charge: chi paga l’iva?
In regime di reverse charge, il venditore emette una fattura senza addebito dell’imposta sul valore aggiunto, mentre il compratore integra il documento fiscale con l’aliquota di riferimento per il tipo di operazione fatturata. Si procede, poi, con l’annotazione “autofatturazione” nel registro iva sia delle vendite, sia degli acquisti, indicando in fattura che si tratta di un’operazione soggetta a inversione contabile – o Vat Reverse Charge.
Per quanto riguarda la fatturazione elettronica, il reverse charge ne è escluso, poiché si tratta di fattura emessa da un soggetto stabilito in altro Paese UE.
Soggetti e settori in cui si applica il Reverse Charge
I settori in cui è possibile applicare il regime reverse charge sono i seguenti:
- edilizia – cessione di fabbricati, installazione impianti, demolizione o completamento di edifici, servizi di pulizia, subappalti;
- prodotti elettronici – telefonia, cessione di computer portatili e pezzi di ricambio/accessori;
- cessione di rottami;
- beni estratti da cave o miniere;
- trasferimento di gas, energia ad un soggetto rivenditore– escluso gpl – entro i confini nazionali;
- emissione di gas serra, o altre sostanze, previa autorizzazione dell’Unione Europea;
- transazioni con discount, supermercati, ipermercati;
- consorzi subordinati ad autorizzazione UE;
- concessione di pallet
Se l’operazione di reverse charge non viene regolarmente registrata, entrambe le parti coinvolte nella transazione sono responsabili del pagamento di una sanzione, la quale può essere uguale alla somma dell’iva da versare, il doppio se l’imposta non è stata contribuita o è stata ingiustamente trattenuta dal fornitore, del 3% dell’ammontare iva se è stata versata una somma inferiore a quella dovuta.
Rappresentante fiscale in regime reverse charge
Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi riconducibili ai settori regolati dal regime reverse charge, dunque, non si applica la basic rule secondo cui il debitore IVA è il soggetto passivo dell’operazione, quindi il cedente. Il debitore dell’imposta sarà il cessionario, il quale se non ha stabile organizzazione e non è identificato in Italia, dovrà obbligatoriamente ricorrere alla nomina del rappresentante fiscale.
Se la merce è già all’interno del territorio nazionale il rappresentante fiscale del soggetto passivo UE dovrà provvedere alla segnalazione dell’acquisto negli elenchi riepilogativi Intrastat, quindi il cessionario italiano non dovrà compilare il modello Intrastat degli acquisti. Tale operazione và inserita anche nell’esterometro.
Il rappresentante fiscale si occupa di adempiere a tutti gli obblighi iva per conto del soggetto estero: emissione, registrazione, contabilizzazione delle fatture, liquidazione e versamento periodico dell’iva, tra cui la dichiarazione annuale.
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